Tre mesi per salvare i bilanci delle cooperative sociali dell’Emilia-Romagna, che senza un intervento sulle tariffe rischiano addirittura di dover chiudere i battenti. E’ una corsa contro il tempo quella delle COOP regionali che gestiscono rsa, centri diurni e altri servizi a favore di anziani e persone fragili. L’aumento dei costi di materie prime, personale e trasporti rischia di far saltare i bilanci: per questo Legacoop, Confcooperative e Agci insieme chiedono un intervento urgente della Regione per adeguare le tariffe e rendere sostenibili economicamente queste realtà. Per chiarire meglio la situazione le tre organizzazioni fanno parlare i numeri: un anziano in una casa di cura convenzionata costa 119 euro al giorno al gestore, che, però, tra tariffe e contributi riesce a coprire solo 109 euro, con un ammanco di 10 euro che diventano in un anno oltre 60 milioni di euro (78,7 milioni se non venisse confermato il contributo straordinario di 3 euro assegnato lo scorso anno da viale Aldo Moro) per i 16.769 ospiti delle strutture. “Stiamo vivendo un periodo molto difficile, dopo due anni di pandemia abbiamo avuto questo aumento di costi. Per il terzo anno consecutivo avremo bilanci in perdita, per questo chiediamo a tutte le forze sociali, ai sindacati, ai Comuni e alla Regione di invertire la tendenza e adeguare le tariffe che non ci permettono di chiudere in pareggio in bilanci”, spiega Alberto Alberani, presidente delle COOP sociali di Legacoop.
“E’ la tempesta perfetta, è in dubbio la sostenibilità dei servizi. Alcune cooperative stanno già prendendo in esame l’ipotesi di restituire le chiavi alle amministrazioni. Per questo chiediamo un intervento rapido, perché non possiamo aspettare sei mesi, e significativo: almeno 5 euro al giorno, che riuscirebbero a colmare il gap che abbiamo oggi, ma ci potrebbero consentire di avere un quadro economico-finanziario che consente di andare avanti nella gestione, sperando che con la revisione del sistema dell’accreditamento poi si possa trovare una nuova sostenibilità”, aggiunge Antonio Buzzi, presidente di Confcooperative Federsolidarietà Emilia-Romagna. “Non è una rivendicazione salariale nei confronti della Regione, ma un grido d’allarme. Alla politica chiediamo dignità e il riconoscimento dei costi reali”, chiosa Emanuele Monaci, vicepresidente di Agci Solidarietà. “Dobbiamo cercare insieme delle soluzioni per aumentare il fondo per la non autosufficienza, per pensare a diverse modalità di contribuzione, perché dobbiamo essere tutti consapevoli che se vogliamo avere servizi di qualità, anche attraverso lavoratori qualificati, questi servizi è necessario pagarli”, scandisce Alberani. Peraltro, le residenze per anziani non sono l’unico servizio convenzionato in perdita: in rosso vanno i centri di riabilitazione per disabili, i centri diurni per anziani, i centri socio-riabilitativi diurni, portando il disavanzo a 74 milioni totali (94,4 senza il contributo straordinario). Un conto che non contempla i servizi di psichiatria, le dipendenze patologiche e i servizi mamma-bambino.
“Il rischio è che che questi servizi vengano chiusi per una non sostenibilità economica reale”, tira le somme Buzzi. Con così stretti margini di manovra, le coop sociali faranno fatica, oltretutto, a intervenire sugli stipendi dei lavoratori (30.000 quelli impiegati nella non-autosufficienza), che, invece, avrebbero bisogno di far crescere per rendere queste professioni appetibili. “I nostri giovani non le scelgono più, perché sono difficili e poco remunerate, quindi sempre meno attrattive. È un problema anche di qualità dei servizi, che anche in Emilia-Romagna dipendono dalla disponibilità di lavoratori dall’estero”, spiega Buzzi, che con la sua cooperativa ha sottoscritto un accordo per l’assunzione di 35 infermieri da Tunisia, Albania e India. “Il problema non è solo economico, una bomba sociale sta per esplodere a causa dell’invecchiamento della popolazione. Noi siamo consapevoli dei problemi che la Regione sta vivendo. Ci deve essere assunzione responsabilità collettiva, anche dei sindacati. Speriamo di migliorare anche la situazione salariale dei lavoratori, ma un sistema non può farlo se non è sostenibile”, conclude Alberani, che spera in una soluzione ai tavoli che prenderanno il via in Regione.
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